martedì 19 aprile 2016

Polvere del Tempo

Riporto di seguito alcune brevi riflessioni che hanno anticipato l'ultima presentazione del libro a Roma (Libreria Tirelli) a cura di Polvere del Tempo, pubblicate sulla pagina Facebook dell'associazione.


Davide Potente ci mette di fronte alla folle corsa della giovinezza verso l'età adulta: quella corsa che nel mondo contemporaneo avviene nel buio e senza una forma, nel desiderio irrisolto di un cambiamento troppo a lungo protratto.

Una tentazione si apre a tratti nella vita scanzonata e errabonda di Daniele Massa, come ferite che riscoprano pelle appena nata: la tentazione di un senso. Sono i momenti in cui il ritmo irriverente di Qualcosa da perdere si sfalda in una delicatezza inattesa, quasi titubante. E sono i momenti che costringono il lettore a tornare indietro, a rileggere, come per appurare con gli occhi uno scarto insperato: il sorriso nell'incertezza.

La scrittura di Davide Potente conosce improvvise accelerazioni, come se improvvisamente guardasse fisso negli occhi il lettore. L'autore di Qualcosa da perdere non permette al lettore di farsi da parte, lo coinvolge in un ritmo narrativo instabile e prensile, gli porge gli assist dell'ironia acuminata del narratore.

Davide Potente parla di una generazione strozzata: di quella generazione che disperde nel caos delle città la mancanza di un nido, cui nella giostra di lavoretti e stage non è stata data la possibilità di definirsi, di sentirsi donne e uomini attivi nel mondo.

Qualcosa da perdere è anche il racconto di un'epifania mancata. Del nostro bisogno di chiedere un senso, di non limitarci a improvvisare una sopravvivenza scanzonata, ma riconoscere a orecchio un'armonia profonda nelle dissonanze del quotidiano. Che è ciò che ci rende insoddisfatti, ansiosi, infelici. Che è ciò che ci rende umani.

Nel suo libro, Davide Potente riesce a descrivere la fragilità di una vita incrinata da dentro, che si difende con l'arma inquieta dell'ironia; leggendo la vita del protagonista Daniele Massa, che con abilità da trapezista si fa spazio tra mezzi lavori e reti wifi rubate ai vicini, rimane addosso l'impressione di un grido soffocato, di una risata contro la vita che fa più male che se diventasse un urlo.

Che cosa accade a un ragazzo quando tutto ciò che potrebbe dargli un'identità, che potrebbe definirlo come uomo si riduce a un tratteggio in lontananza, a una malinconia iridescente e immaginifica? E quando i ragazzi sono centomila, un milione?

Il libro di Davide Potente è un ritratto al contempo lieve ed affilato di una generazione che si guarda sotto i piedi e non vede abissi, ma solo relitti di una vita ancora da vivere, che di quella vita portano in sé la traccia ma non riescono a ricomporla,a organizzarla in una forma. Come i pezzi di un mobile Ikea senza istruzioni; ma sono brandelli di vita. Della nostra vita.